Testimonianza di Francesco.
Questo credente descrive dettagliatamente il suo trascorso di vita, la lunga esperienza del carcere e il meraviglioso incontro col Signore. Le cose vecchie sono passate… tutto è diventato nuovo! Francesco può affermare: “non son più io che vivo ma Cristo vive in me”!
“In un’angusta cella del carcere, mi sono inginocchiato e ho affidato la mia vita a Gesù”
I miei testimoni siete voi, dice il Signore, voi e il mio servo che ho scelto, affinché voi lo sappiate, mi crediate, e riconosciate che Io sono. Prima di me nessun Dio fu formato, e dopo di me, non ve ne sarà nessuno. Io sono il Signore, e fuori di me non c’è salvatore (Isaia 43:10-11).
Quello che sto per raccontare è la semplice storia di una conversione, di un cambiamento del cuore e della vita, di un incontro con la fede e della scoperta di un Salvatore: Gesù.
Il mio nome è Francesco, ho 46 anni, ma preferisco dimenticare i primi trenta e ricordare il tempo trascorso dal 4 febbraio 1996, data in cui ho accettato Gesù come mio personale Salvatore.
La ricerca di un’identità spirituale
I primi trent’anni sono stati spesi alla ricerca di un’identità spirituale, ho inseguito Dio partendo dalla religione tradizionale cattolica, per finire ad avere incontri con gruppi che si occupavano di esoterismo, passando attraverso testimoni di Geova, buddisti e musulmani. Ogni volta era la stessa storia, iniziavo a documentarmi e poi scoprivo sempre qualcosa che non funzionava: nella dottrina, nell’etica o nel fondamento di quei gruppi.
Il tempo passava ed io ero sempre più lontano dalla verità e questo mi portava ad un principio di vita guidato dal materialismo, e andavo inevitabilmente verso una condotta immorale che sfociò nel vivere al di fuori dalla legge. Era una vita gestita dall’unico dio cui in quel momento rendevo il culto: mammona (ricchezza).
Al di fuori della Legge
La sete di guadagnare più denaro possibile per spenderlo in dissolutezze, mi fece intraprendere un cammino senza via di ritorno fino a diventare uno strumento nelle mani del maligno e, la mia attività principale, era il traffico di stupefacenti. La mia origine e la collocazione geografica del mio paese di nascita, furono il passaporto per accedere in quel mondo che richiede principalmente omertà, abnegazione e dedizione totale alla “famiglia” a cui appartenevi e, per rinforzare tutto ciò, feci patti che implicano santini, fuoco e sangue.
Tutto sembrava andare a gonfie vele
Le cose mi riuscivano molto bene, il nemico delle anime nostre sa come accecare chi gli appartiene, e per alcuni anni percorsi quella strada raggiungendo livelli sempre più alti nel mondo dell’illegalità. Se paragonassimo la gerarchia di quel contesto ad un’azienda, posso dire che sedevo a pieno titolo nel consiglio di amministrazione.
Avevo denaro, potere e diritto di decidere sugli altri alzando il pollice o abbassandolo.
Ero il dio di me stesso e credevo di essere invincibile.
Si sa però che le cose hanno un loro tempo. Il mio arresto arrivò nel gennaio ’94.
All’improvviso si aprirono le porte del carcere
Era giunto il momento di rendere conto alla giustizia terrena delle mie azioni. Trascorsi il mio primo mese di detenzione, gennaio, nel carcere di San Vittore a Milano, il secondo nel carcere di Asti e poi, alla vigilia della Pasqua del ’94, fui trasferito al carcere di Modena. Ero detenuto nel cosiddetto “carcere duro”, nei reparti speciali di alta sicurezza, e ciò procurava tanti disagi: su me stesso, su mia moglie e su nostra figlia, che all’epoca aveva appena cinque mesi, sia per la lontananza e sia per l’impossibilità di vedersi in quella fase giuridica d’istruttoria.
Ero sempre più solo, cercavo un senso per poter giustificare tutto quello che mi accadeva, davo la colpa alle più svariate persone e situazioni, facevo liste di nomi sui quali far abbattere la mia vendetta, immaginavo situazioni che mi avrebbero dato la rivincita su quei collaboratori di giustizia che secondo me erano la causa principale della mia carcerazione, ragionavo su sistemi di tortura che avrei dovuto applicare su di loro, senza accorgermi, che l’unico che avrei dovuto biasimare ero io stesso.
Le persone che in un primo momento incontrai nel carcere di Modena erano uomini come me e come tanti ce ne sono nelle sezioni di alta sicurezza, dove sono ristretti i più pericolosi per la società; ma subito dopo conobbi un uomo che tra tutti questi si distingueva: forse era per la sua folta barba, forse per la sua tranquillità, ma quando si avvicinò per parlare con me, fui felice di conoscerlo. Si presentò: “Piacere, mi chiamo Pino”, poi aggiunse una domanda che mi colpì: “che rapporto hai con il Signore?”.
Da quel momento, incuriosito da quella persona che mi fece una domanda tanto strana, in un contesto come quello, iniziai a parlare con lui, ed egli, con pazienza, faceva fronte, con mille spiegazioni, alla mia indifferenza verso ciò che ormai consideravo una scelta di comodo: la fede.
Un nuovo incontro con la Sacra Scrittura
Mi offrì una parte della Bibbia, cioè un Nuovo Testamento e Salmi, e questo mio nuovo incontro con la Scrittura, a differenza delle altre volte, era metodico e non saltellante, volto ad estrapolare alcuni versetti dal loro contesto, per meglio adattarli alle tesi delle correnti pseudo-religiose che avevo frequentato e, questo, mi serviva per cercare riscontri nelle parole del fratello Pino.
Gli tenni, naturalmente, ben nascosto questo mio atteggiamento “d’indagine”. Ero convinto che prima o dopo avrei trovato qualcosa, come negli altri casi, che lo avrebbe messo in difficoltà e, tra un discorso e una lettura, passava il tempo. Ogni pomeriggio avevamo la possibilità di riunirci in una cella con alcune persone e Pino arrivava con la sua Bibbia, leggeva qualche passo, lo illustrava e pregava ad alta voce per tutti noi.
Una preghiera toccante
Fu nel momento di una preghiera, che in me avvenne qualcosa di particolare: Pino stava pregando per me, per la mia famiglia e per la mia situazione; quella preghiera non era meccanica da ripetere all’infinito, né possedeva strutture lessicali preconfezionate, era qualcosa di diverso, che usciva dal profondo di chi la faceva, e nei suoi vocaboli si sentiva la sincerità.
Quelle parole entravano nelle mie orecchie e mi scaldavano l’anima: sentii per la prima volta la certezza di un Dio che ascolta, che è presente e che può intervenire. La gioia si mescolava al senso di colpa, che affiorava dalla mia coscienza per tutto ciò che di sbagliato avevo fatto in passato e mentre le lacrime silenziosamente mi rigavano il volto, sentivo una pace, mai provata prima, entrare nel mio cuore. Avevo incontrato il Signore e non me ne rendevo conto.
Incalzato dalle vicende processuali e non avendo ancora affidato la mia vita a Gesù, continuavo a cercare sempre nella Scrittura qualcosa che potesse darmi la conferma che gli evangelici pentecostali fossero, né più né meno, che un movimento pari a quelli che già conoscevo. Nel frattempo Pino mi aveva regalato una Bibbia che, naturalmente, iniziai a leggere dalla Genesi. Nel gennaio 95 fui trasferito nuovamente a Milano e rimasi lì per un anno per poter affrontare il processo a mio carico; tutto il tempo pregavo il Signore dicendo: “Signore fammi uscire”. Questo non era nei Suoi piani e un po’ mi raffreddava, ma il Signore, che è giusto, non mancò mai di farmi leggere la Bibbia e di pregare, seppur, da parte mia, in modo umanamente interessato.
Pesante condanna
Tornai a Modena nel dicembre ’95, avevo ricevuto una condanna a diciassette anni di reclusione ed ero arrabbiato con il mondo intero, ma quel lumicino di fede, seminato dal fratello Pino era sempre acceso nel mio cuore. Una mattina del gennaio ’96, leggevo la Parola e in un passo notai qualcosa che non avevo visto prima:
“Or questi erano di sentimenti più nobili di quelli di Tessalonica, perché ricevettero la Parola con ogni premura, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così” (Atti 17:11). Questo passo parlava dei fratelli di Berea visitati da Paolo e Sila che, come me, “controllavano” le Scritture per trovare veridicità e, in quel momento, capii che se molti di loro credettero, chi ero io per mettere in dubbio ciò che leggevo? Da quel momento iniziai a leggere la Parola con un cuore disposto.
Il 4 febbraio 1996 ho accettato Gesù quale mio personale Salvatore.
Questo mi portò il 4 febbraio dello stesso anno a inginocchiarmi in un’angusta cella di un carcere, ad aprire il mio cuore e ad affidare tutta la mia vita a Gesù quale conduttore, difensore e, soprattutto, mio personale Salvatore. Fu una preghiera travagliata, nella mia mente affioravano tutte le cose che non facevano altro che dirmi che ero un peccatore, che mai Dio Padre avrebbe potuto accettarmi, che il mio bagaglio di vita passata non si sarebbe mai staccato dalla mia mente e dal mio cuore e che, soprattutto, ero colpevole davanti al Signore. Ma Gesù è fedele e durante quella stessa preghiera, il suo Spirito mi fece realizzare che Lui e solo Lui, aveva pagato le mie colpe e scontato il mio debito con Dio Padre. Così mi arresi e chiesi a Gesù di prendere in mano la mia vita.
Seguirono altri tre anni di comunione intensa in quel carcere, insieme a Pino parlammo di Gesù ad altre persone: avevamo costituito un gruppo di lettura di otto persone e ricevevamo la visita settimanale del pastore Simone Caporaletti. Leggevo molto la Bibbia e il fratello Simone, notando che era scritta a caratteri piccoli, me ne regalò una di dimensioni più grandi che tuttora posseggo e, anche se ormai è logora e lisa, le parole che vi leggo sono sempre una nuova fonte di benedizione. A lui per primo, feci espressa richiesta di potermi battezzare in acqua, ormai da tempo mi ero arreso al Signore e all’evidenza che la strada intrapresa era finalmente quella giusta e che la Chiesa di cui facevo parte si occupava, solo, di tutto l’Evangelo, senza nulla aggiungere.
Il battesimo però ancora non si concretizzò. Nell’aprile ’99 fui trasferito a San Gimignano, in Toscana, il nemico ormai mi aveva perso per sempre e dava i suoi ultimi colpi di coda, e lì in quel carcere, trovai una chiesa formata da detenuti che già da tempo, coadiuvata dal pastore di Siena, fratello Antonio, andava avanti nel nome del Signore. Feci anche a lui la richiesta di battesimo, ma tra i tempi burocratici e un nuovo trasferimento al carcere di Vigevano, non potei effettuare ciò che desideravo. I contatti epistolari con il fratello Antonio, sfociarono in un incontro al carcere di Vigevano con il fratello Pasquale, conduttore della Chiesa di Milano di Via Boiardo, che da oltre un decennio visitava la casa di reclusione, e da lui, il Signore decise di farmi battezzare. Ormai era giunto il tempo.
Il giorno del battesimo in acqua
Il battesimo in acqua per immersione si svolse il 6 febbraio del 2003, usammo la vasca da bagno dell’infermeria del carcere. Era una vasca come quella che si trova in ogni appartamento, era situata in una piccola stanza in cui appena potevano stare in piedi quattro persone. Lo spazio era angusto, l’acqua appena sufficiente, ma quando il fratello Pasquale mi immerse, testimoniai la mia appartenenza al Signore davanti ad un altro detenuto, il fratello Marco, ad alcuni agenti di polizia penitenziaria ed al fratello Michele, altro pastore venuto insieme al fratello Pasquale. Questo avvenne nello stesso mese in cui sette anni prima avevo accettato Gesù come mio personale Salvatore.
Avevo lasciato il “vecchio uomo”, con un passato troppo pesante da portare (se non avessi avuto il perdono del Signore), per tutte le mondanità che avevano logorato la mia esistenza. Ero nato a nuova vita, quella che sfocerà nell’eternità con il Padre.
Fuori dal carcere
Oggi non sono più in carcere, ho ritrovato la mia famiglia, mia figlia, che ho riabbracciato due mesi prima del suo diciottesimo compleanno, con l’aiuto del Signore ho acquistato il suo affetto ed ho potuto parlargli di Lui, da circa un anno e mezzo ha incontrato Gesù, le ha dato il suo cuore.
Ma il mio pensiero va spesso a tutti gli anni trascorsi in quel posto dove ho potuto parlare di Gesù a molte persone, lo facevo in un luogo che forse è l’avamposto del nemico, non gli davo tregua e lo inseguivo fino a farlo scappare quando altri uomini iniziavano ad accostarsi alla Sacra Scrittura.
Rivedo sempre nella mia mente i loro volti e come ascoltavano le parole della vita. Alcune volte sembrava impossibile parlare a qualcuno del Signore, ma Egli preparava i cuori affinché ricevessero il seme della Parola; altre volte andavo incontro a scherni e sorrisini sarcastici, ma io confidavo nel mio Dio e
“non mi vergogno del Vangelo; perché Esso è la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede …poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, come è scritto: il giusto per fede, vivrà” (Romani 1:16)
Così, la mia fede, la mia quotidiana testimonianza, condusse il fratello Marco a battezzarsi nella stessa vasca usata per me, e questo è stato un grande dono che il Signore mi ha fatto: raccogliere il frutto di ciò che avevo seminato.
Una piccola chiesa
Oltre a lui, altri si sono accostati e la piccola Chiesa, nata in quel reparto di detenzione, conta oggi dieci anime, fra cui Bartolo, il mio compagno di cella, con cui ho coabitato cinque anni, che non voleva nemmeno toccare la mia Bibbia perché diceva che ‘gli portava male’, in ragione della superstizione con cui era da sempre cresciuto e che ho avuto il piacere di veder definitivamente scomparire quando scese nelle acque battesimali prima che tornassi a casa.
Spero che molti altri, in altre carceri, oppure tornati ormai liberi, possano aver accettato il Signore a seguito della mia testimonianza e di quel granello di senape piantato a volte senza tante umane speranze.
Oggi sono membro della chiesa di Carrara, faccio parte di una comunità che mi ha abbracciato e annoverato nella famiglia del Signore senza alcun pregiudizio, non poteva essere diversamente, ho ancora la mia Bibbia dalla copertina logora, che è una fedele compagna, e altre persone sono state spinte ad aprirla e leggerla e tra tutte le preghiere che in questi anni ho innalzato al Signore ce n’è sempre una uguale: ”Grazie Signore perché Tu hai dato”.
Il Signore è fedele, a Lui sia la Gloria!, Egli non permette che siamo tentati oltre le nostre forze (1 Corinzi 10:13) e dopo diciassette anni di carcere e quindici dalla mia conversione, tornato nel mondo libero, ha esaudito un desiderio che molte volte Gli ho manifestato in preghiera: quello di poterLo lodare insieme ad altri fratelli, assistendo alla mia prima riunione di culto in una stanza senza sbarre alle finestre.
Francesco